Davide Enia, teatro di guerra
Pubblicato: 4 agosto 2013 Archiviato in: Articoli | Tags: dai giornali, Davide Enia, libri, maggio '43, Mattino, novità, recensioni, Sellerio editore Lascia un commentoShakespeare in poltrona ha la stessa efficacia? E Bob Dylan, lo merita il Nobel per la letteratura? Annosa questione, se un testo che è stato scritto per essere recitato su un palcoscenico o davanti a una macchina da presa, o peggio ancora per essere cantato, possa funzionare anche se viene semplicemente letto, come un romanzo o una poesia. Davide Enia taglia il nodo gordiano e oggi, dopo Italia-Brasile 3 a 2 di tre anni fa, manda in stampa maggio ’43 (Sellerio editore, pag. 104, euro 12): che funziona eccome.
Davide Enia appartiene alla schiera degli autori-attori, quella che ha avuto il capofila in Marco Paolini e un acclamato rappresentante in Ascanio Celestini. Come per quest’ultimo, il teatro civile del trentanovenne palermitano affonda le radici nella tradizione orale, nella narrazione popolare; e più che di monologhi o pièce, sicuro lui preferisce parlare di “cunti”. Ma è proprio omettendo il teatro, l’azione e l’oralità, che il libro funziona come libro: Enia asporta tutte le indicazioni per l’attore – movimenti in scena, parti cantate – e così il testo scorre fluido e senza intoppi (sono invece presenti un bel po’ di note per chiarire i termini dialettali: era proprio necessario, tradurre “babbiare”, dopo tanto Camilleri?).
Nel maggio ’43, il 9 precisamente, ebbe luogo un bombardamento a tappeto della città di Palermo: inconsueto, perché di giorno, e devastante, perché quasi tutto il centro fu annullato, e ne porta i segni ancora oggi. Racconta l’autore (nella nota finale; mentre uno scritto introduttivo è firmato dall’altra star del teatro siculo contemporaneo, Emma Dante) che da questa osservazione, meglio dall’osservazione di essere cresciuto in mezzo alle macerie senza essersene accorto, nasce la scintilla di maggio ’43. È una rimozione – che ne riecheggia un’altra, collettiva e gigantesca: a infliggerci le ferite più crudeli sono stati gli Alleati, quelli che ci hanno liberato – e quindi è felice l’intuizione di Enia che fa raccontare i fatti a un ragazzino di dodici anni. Il piccolo Davide, che negli anni ’80 non vede le cicatrici dalle quali è circondato, è l’omologo del piccolo Gioacchino che nel ’43 passa attraverso tutti gli strazi della guerra – scappare nei rifugi anti-bomba con la statua di santa Rosalia, sfollare in campagna, mangiare solo limoni per una settimana, imbrogliare e farsi imbrogliare, infine vedere crollare il proprio mondo – e non li vede, o meglio non ne vede il senso tragico, irreparabile. Poi, Davide si renderà conto (e scriverà maggio ’43). Gioacchino, non si sa. E noi?
(Articolo uscito oggi sul Mattino)
Il codice Morse
Pubblicato: 14 aprile 2013 Archiviato in: Articoli | Tags: Colin Dexter, dai giornali, L'ispettore Morse e le morti di Jericho, libri, Luisa Nera, Mattino, novità, recensioni, Sellerio editore Lascia un commentoC’è qualcosa di antico oggi nel giallo, anzi di nuovo. L’ispettore Morse è il protagonista di una nutrita serie di romanzi, scritti da Colin Dexter nell’ultimo quarto del secolo scorso. Si tratta di gialli inglesi classici, superclassici: quelli dove nelle prime pagine c’è un morto e nelle ultime un assassino che confessa; e in mezzo l’indagine, fatta molto di deduzione e poco di azione, molto di colloqui discreti e poco di interrogatori serrati. In questo caso (L’ispettore Morse e le morti di Jericho, Sellerio editore, pag. 346, euro 14) il morto è una morta, un’affascinante donna che Morse aveva conosciuto di sfuggita qualche tempo prima, e che viene ritrovata nella sua casetta di giovane divorziata in un quartiere periferico di Oxford, impiccata. Il dubbio è un altro classico: omicidio o suicidio? Mentre una galleria insolitamente affollata di personaggi inizia a popolare la scena – i vicini, un ex amante, i ragazzi cui lei dava ripetizioni di tedesco – tutto sembra andare verso l’archiviazione; ma ecco, un secondo cadavere, proprio nella casa di fronte, e questo ammazzato di sicuro.
Colin Dexter, ex prof di greco e grande esperto di enigmistica, non racconta solo quel che accade all’ispettore, ma si mette a monitorare tutti i protagonisti e (quasi) tutti i fatti: un modo di narrare molto cinematografico, e d’altra parte la serie tv tratta dai libri è stata un grande successo in Inghilterra. Ma il suo approccio in apparenza canonico e senza guizzi è pervaso da un filo d’ironia, grazie al quale le regole del giallo classico sono formalmente rispettate, però vengono dall’interno corrose, quasi sfottute. Pensate al dogma dell’assassinio nella stanza chiusa: qui al contrario è addirittura la porta di casa che viene trovata aperta! È vero, l’ambientazione è talmente inglese da risultare stereotipata: il pub, le villette unifamiliari col giardino sul retro, il circolo di bridge, tutto molto dignitoso e molto british; ma grattando appena un po’ dietro i personaggi emergono rancori, sotterfugi, meschinità, emerge il legno storto dell’umanità: tanti potrebbero essere i colpevoli, tutti, sicché alla fine la meraviglia non è che ci siano stati dei delitti, ma che ce ne siano stati così pochi. E poi, l’ispettore Morse – zitellone colto, antipatico, bevitore – è un loico sopraffino, un investigatore alla Dupin, alla Holmes, certo; ma la maggior parte dell’indagine la conduce in forma privata e di nascosto, tanto che a un certo punto viene persino “arrestato”: il poliziotto geniale e ribelle che fa di testa sua, che a pensarci è più un topos dell’hard boiled. E ancora, tutta la narrazione è infarcita di riferimenti ai classici antichi e alla musica seria da Wagner in su, tutti i santi capitoli sono preceduti da una citazione; okay, ma che dire del fatto che molte citazioni sono inventate, quando non addirittura, borgesianamente, inventato è uno degli autori delle massime?
Per cui alla fine anche il più tipico dei meccanismi del giallo – l’accavallarsi di false piste, il proliferare di ipotesi che a ogni passo sembrano portare alla chiusura del caso – sortisce l’effetto opposto: quando finalmente si scioglie l’enigma, non si scioglie la tensione accumulata nella testa del lettore. Sì certo, sicuramente è andata così, come ha detto Morse, però, se invece… Si chiude il libro, e si continua a pensare.
(Versione integrale dell’articolo uscito ogi sul Mattino)
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