Micro (non) fiction
Pubblicato: 21 luglio 2020 Archiviato in: Articoli | Tags: dai giornali, Edizioni Clichy, flash fiction, georgi gospodinov, La ricerca, libri, microfiction, racconti, regis jauffret, tutti i nostri corpi, Voland Lascia un commento1.
Il racconto più breve? Sei parole.
(Esempio di micro-non-fiction in 6 parole)
2.
Qui si parla di due libri di narrativa breve, o molto breve, usciti negli scorsi mesi: Microfictions di Régis Jauffret (Clichy, traduzione di Tommaso Gurrieri) e Tutti i nostri corpi di Georgi Gospodinov (Voland, traduzione di Giuseppe Dell’Agata). E grazie a loro, attraverso di loro, di molti altri libri, altri autori, altre forme che hanno a che fare in qualche modo con la narrativa breve, molto breve, brevissima.
3.
Qui si parla di narrativa breve brevissima, e per quella particolare forma di pigrizia che si chiama mimesi, se ne parla in maniera frammentata, con dei paragrafi che potrebbero essere racconti brevi, se non fosse che difettano del carattere narrativo, e quindi sono… saggi brevi, micro-non-fiction, flash theory? D’altra parte se il romanzo può contrarsi, restringersi all’essenziale e diventare racconto, perché non può fare altrettanto il saggio? (e nel caso, cosa diventa, aforisma? Mi sovviene che uno dei vertici più alti del pensiero occidentale, il Tractatus Logico-Philosophicus di Ludwig Wittgenstein, consta di brevi proposizioni, flash theory, e ora ho paura).
4.
Cos’è un racconto? Sarebbe logico partire da qui, ma con la promessa di non farla troppo lunga o difficile – d’altra parte non siamo tra critici letterari o teorici di narratologia. Dunque un racconto è, dovrebbe essere, uno scritto di contenuto narrativo e di dimensioni ridotte. Lasciamo da parte le tentazioni qualitative e atteniamoci per il momento al lato quantitativo: il racconto è una cosa piccola. Okay, ma quanto piccola? Raymond Carver – che non è il mio raccontista preferito ma insomma, un po’ ne sapeva – spiegò che lui si era specializzato nella forma breve perché era l’unica che gli consentiva di sedersi con un’idea, scriverla e avere la ragionevole certezza di portarla a termine. Quindi, il racconto è quel pezzo di narrativa che si può produrre nell’ambito di un’unica sessione di scrittura. Lato lettore, perché lettori siamo, estenderei il metodo e direi che il racconto è quel pezzo di cui si può fruire nel corso di una sola sessione di lettura. Questo dovrebbe portare a escludere degli scritti che sono nella communis opinio racconti, ma che a mio parere ci azzeccano poco: le (bellissime) spataffiate di Alice Munro, 50-70 pagine, hanno poco a che fare con la short story, sono più dei romanzi brevi, per comodità editoriale radunati quattro o cinque alla volta in un volume. E così, non sono racconti (secondo me, ripeto, è opinione minoritaria) Giro di vite di Henry James, che per molti è addirittura “il più bel racconto mai scritto”, e Casa d’altri di Silvio D’Arzo, che parallelamente è spesso definito “il più bel racconto del 900 italiano”, o “il racconto perfetto” (Montale, addirittura). (Oh, poi è chiaro che uno in una sola sessione di lettura può sciropparsi ben più di 45 pagine, ma insomma, ci siamo capiti.)
5.
Il guaio delle classificazioni è che quando ci si appassiona, non se ne esce più fuori. E allora, se uno è amante dei racconti brevi, e ne legge tanti, si accorgerà che la differenza, l’abisso che sta tra un racconto breve (short story) e un racconto lungo (o romanzo breve, o novella), non è di tanto superiore allo spazio concettuale che separa un racconto breve da un racconto moltobreve: tra, poniamo le 22mila battute de Il giardino dei sentieri che si biforcano di Jorge Luis Borges e le 6mila de Le mura di Anagoor di Dino Buzzati. La quantità ricade sul contenuto, la forma è sostanza, le dimensioni contano: influiscono sul tono, sullo sviluppo narrativo, sulla possibilità stessa di narrare “fatti” – qualsiasi cosa si intenda con questa parola. C’è quindi una short story (10-20 pagine, elastiche) e un formato più ristretto, 2 o 3 pagine, che potremmo chiamare microfiction.
(Continua su La Ricerca)
Perché d’estate leggo solo libri di racconti
Pubblicato: 22 luglio 2019 Archiviato in: Articoli | Tags: dai giornali, Esquire, libri, racconti Lascia un commentoL’estate è la stagione giusta per le grandi letture? Ma non diciamo fesserie. L’estate è l’orizzonte mitico dove si proiettano le nostre buone intenzioni di aspiranti lettori forti – e dove poi si seppelliscono. È un grande weekend, un’enorme serata: come durante la giornata ci mettiamo da parte le letture più curiose, che poi la sera nonguarderemo; come durante la settimana ci conserviamo i longform e gli approfondimenti e le inchieste, che nel weekend non mancheremo di trascurare; così durante l’anno aspettiamo l’estate per attaccare finalmente Proust, o quella saga fantasy di dodicimila pagine.
Io per esempio quest’anno avrei da finire il capolavoro classico di Giorgio de Santillana e Hertha von Dechend, Il mulino di Amleto, un incredibile trip nei miti, anzi nel mito (uno) degli antichi; e La mente del corvo, dalla collana Adelphi sulle intelligenze animali, dopo mammiferi e polpi, un’altra meraviglia; e Abbacinante, la trilogia indescrivibile di Mircea Cărtărescu. Poi potrei iniziare il fresco uscito Come cambiare la tua mente, il genio di Pollan alle prese stavolta con LSD & co., e uno che viceversa mi guarda dallo scaffale da tempo, L’Opera galleggiante di John Barth, succo del postmoderno.
Ma per una volta ho deciso di guardarmi in faccia prima, e ammettere: non li leggerò, almeno non questa estate. E non è questione di pesante o leggero, è proprio un fatto di tempo ristretto, e soprattutto frammentato. Perciò io quest’estate leggerò – sto leggendo – solo racconti. Che hanno il vantaggio di poter riempire pause anche brevi con storie autoconclusive, e anche quello che ti permettono di saltare da un libro all’altro, a seconda dell’esigenza, dell’umore, di quello che ti trovi ficcato in borsa tra un asciugamano e una crema solare.
(Continua su Esquire)
I racconti più belli che ho letto quest’anno online
Pubblicato: 31 dicembre 2018 Archiviato in: Articoli | Tags: online, racconti Lascia un commentoQuest’anno forse ho letto meno, o almeno in modo più disordinato. Ma siccome questa lista che avevo fatto l’anno scorso aveva riscosso un suo piccolo successo, perché evidentemente aveva avuto una sua minima utilità, ho pensato di rifarla per il 2018 (sempre grazie a Twitter che uso come un bloc notes: quando leggo un pezzo che mi piace o mi serve, lo posto; e questo spiega anche l’ordine, assolutamente casuale). L’unica cosa, non riesco a metterci due righe per ogni pezzo ma fidatevi, so’ belli belli.
Una parola per delimitare l’ambito però ci vuole. E quindi:
I racconti (leggo fiction e non, cronaca e longform, ma la mia forma preferita resta la narrativa breve. Qui si parla di racconti, stop)
più belli (secondo me: secondo me, ovvio. Ma converrete con me che gli unici racconti degni di questo nome sono quelli fantastici, no?)
che ho letto quest’anno (e non che sono usciti quest’anno. Perché, insisto, non si può stare dietro a tutte le novità, e soprattutto non si può stare dietro unicamente alle novità)
online (perché in rete li ho scoperti, o ritrovati, e lì potete trovarli anche voi):
Sergio Pitol, La pantera (Zest)
Michele Orti Manara, Una vita in venti minuti (Crapula)
Virginia Woolf, Morte di una falena (Biancamano2)
Stanislaw Lem, La profezia del Golem (Not)
Cesar Aira, Cecil Taylor (el castillo)
Cristiano de Majo, Fanfani nel cosmo (Nazione Indiana)
Sarah Rose Etter, Una giornata in ufficio (Pidgin)
Cao Xuequin, Sogno infinito di Bao Ru
Alfredo Palomba, Orsetti lavatori (Verde rivista)
Antonio Russo De Vivo, La natura cangiante della bellezza umana (Crapula)
Davide Morganti, Atto di abbandono alla meccanica di Newton (L’Inquieto)
Stefano Felici, Santuario (Crapula)
Grace Paley, Desideri (Poetarum silva)
Matteo B. Bianchi, Fragile (Granta)
Igoni Barrett, The Phoenix
Kurt Vonnegut, The drone king (The Atlantic)
Ben Lerner, The polish rider (The New Yorker)
Marco Ciriello, Napoli decadence
Don DeLillo, The itch (The New Yorker)
10 libri di racconti da portare in vacanza
Pubblicato: 20 luglio 2018 Archiviato in: Articoli | Tags: dai giornali, Esquire, libri, racconti, recensioni Lascia un commentoÈ un buon momento per il racconto? Può essere. Ogni tanto ce lo ripetiamo, noi appassionati del genere: per confortarci, consapevoli di essere nicchia dentro una nicchia (i lettori). Ce lo diciamo quando nasce una casa editrice specificamente dedicata alla forma breve, quando vince il Nobel una scrittrice di racconti (Alice Munro, che però fa quasi dei romanzi brevi), quando sembrano proliferare le riviste di narrativa online, e persino quando a prendere un premio è un romanzo che però è firmato da uno che prima scriveva sempre racconti (George Saunders, Lincoln nel Bardo). Perché, ammettiamolo: non è mai un buon momento per il racconto. Soprattutto in Italia, estranea alla tradizione della short story americana, e ferma alle novelle verghiane o poco più: se è vero che nel 1958 Buzzati vinceva addirittura lo Strega con Sessanta racconti, è vero pure che sono passati sessanta anni, e oggi quasi tutti gli editori si farebbero esplodere piuttosto che usare la parola-con-la-R: non solo nel titolo, non solo sulla copertina, ma anche nelle schede e nei comunicati stampa – per la maggior confusione di operatori del settore e lettori.
E però. L’estate è tempo di lettura e di relax. E di letture rilassate. Magari brevi, sufficienti a coprire il tempo tra un tuffo e l’altro. Perciò ecco qui consigliati 10 libri di racconti: i primi 5 di quest’anno, gli altri 5 di qualche anno fa. Lista per forza di cose parziale, e soggettiva: vi troverete infatti una spiccata predilezione – che è la mia – verso il racconto fantastico, e verso la forma brevissima. Che secondo me sono, dovrebbero essere, le caratteristiche obbligate del racconto tout court. Ma di questo magari si dirà un’altra volta. Intanto buona lettura, e buona estate.
(continua su Esquire)
La fantascienza è femmina. Anzi, è femminista
Pubblicato: 18 marzo 2018 Archiviato in: Articoli | Tags: ann vandermeer, claudia durastanti, dai giornali, Esquire, Jeff VanderMeer, le visionarie, libri, nero edizioni, racconti, recensioni, veronica raimo Lascia un commentoDopo il primo racconto, bellissimo, ho lasciato un segno, pensando: in un’oceano di 500 e più pagine, poi non li ritrovo più. Letto il secondo, ho fatto lo stesso. Con il terzo, pure. E così via. Sicché a un certo punto ho smesso: la mia mappa dei racconti più belli de Le visionarie rischiava di diventare la fotocopia del sommario de Le visionarie. Perciò ho deciso che non ne avrei nominato nessuno, per rendere giustizia a tutti. Ma poi, quando ho iniziato a scrivere, mi è venuto un dubbio.
E il dubbio è questo: sono abilitato a parlare? Io in quanto maschio, bianco, occidentale e borghese: soprattutto in quanto maschio (ma anche le altre caratteristiche non sono da meno, come vedremo). Già, perché la questione è delicata e di questi tempi ancora di più. Allora: posto che non esistono libri PER maschietti e libri PER femminucce, ovvio, e chi ci prova viene giustamente sbertucciato.
L’uomo del tempo
Pubblicato: 12 marzo 2018 Archiviato in: Racconti | Tags: Crapula, fantascienza, racconti Lascia un commento(Questo racconto è stato pubblicato il 9 marzo 2018 dalla rivista online CrapulaClub)
Fu allora che vide i due C-landestini. Ciondolavano spavaldi in mezzo alla strada, incuranti delle vetture che sfrecciavano pochi centimetri sopra le loro teste, e parlavano ad alta voce. Che fossero C-landestini lo si capiva facilmente dal design somatico, dagli abiti dozzinali tipici della loro zona d’origine, ma soprattutto dal fatto che non stavano lavorando. Vedendoli avvicinarsi, Burk provò una leggera inquietudine, subito scavalcata dall’indignazione. Che sfacciati, girare così in pieno giorno-opera all’interno della zona B, senza neanche far finta di essere occupati. Il solo fatto di non stare all’opera in attività demolitive o ristrutturative bastava a qualificare i nativi della zona C come C-landestini.
Purtroppo la frontiera esterna doveva essere quotidianamente aperta per consentire l’ingresso di manodopera: la tecnontemporaneità aveva risolto tanti problemi, ma non quello della sicurezza edilizia. Per costruire quartieri abitativi resistenti alle intemperie, l’uso di braccia-uomo era ancora necessario. O meglio, era conveniente, perché le fattorie di ultima generazione erano riuscite a produrre tecno-muratori, ma a costi troppo elevati: le frequenti cadute dalle impalcature, provocate dalla raffica anomala, rendevano economicamente preferibile la perdita di un nativo C rispetto alla distruzione di una tecno-macchina. Tanto, nella zona C continuavano a riprodursi come scarafaggi, o almeno così recitava l’adagio, dato che da almeno un paio di generazioni, cioè dal periodo delle Scosse di assestamento, di scarafaggi nessuno ne aveva più visti.
La settimana di Esquire: 9 febbraio 2018
Pubblicato: 9 febbraio 2018 Archiviato in: Articoli | Tags: dai giornali, Esquire, racconti, settimana Lascia un commento(Questo è il mio contributo al pezzo settimanale collettivo)
I racconti online
Io sono un grande fan dei racconti brevi. Una forma trascurata, di nicchia, considerata di serie B: ma per me è la Champions. Li cerco e ne leggo in continuazione. Quando ne trovo qualcuno online che mi convince, che non voglio perdere, lo metto sul mio profilo twitter, che uso più che altro come un block notes, appunto.
Per forza di cose, caso o circostanze, dalla lista di fine anno qualcosa è rimasto fuori. Per esempio Curzio, la rivista-newsletter di mini racconti di fantascienza, scritta e mandata da Pietro Minto: fantascienza ironica, meta- e post-, ovvio, ma non meno interessante.
Oppure la rivista online Carie, nata per gioco in uno studio dentistico (!) e arrivata al sesto numero in due anni. Ogni racconto è illustrato, ogni numero è leggibile su browser o scaricabile in pdf. Aperta a tutti: ci scrivono giovani esordienti e scrittori già pubblicati da major (nell’ultimo numero Piergiorgio Pulixi e Valentina Stella). In redazione sono in nove, e per scegliere i pezzi migliori se le danno di santa ragione. D’altra parte, solo nel 2017 sono arrivate più di 600 proposte: decisamente, la nicchia si allarga.
(Leggi il pezzo completo su Esquire)
I migliori racconti che ho letto online quest’anno
Pubblicato: 31 dicembre 2017 Archiviato in: Articoli | Tags: online, racconti 1 CommentoFacile fare le liste dei migliori libri dell’anno. Lo fanno tutti; lo abbiamo fatto anche noi.
Ma qui, a titolo personale, voglio dire altro. Innanzitutto, quando si dice libri, si sottintende romanzi. Io invece sono un po’ fissato con i racconti. Racconti brevi, meglio ancora se fantastici. Quindi la lista è di racconti.
Poi: non usciti quest’anno, ma che io personalmente ho letto quest’anno. Mica si può stare dietro a tutte le novità, no? E soprattutto: mica si può stare dietro SOLO alle novità?
Infine, racconti che si trovano online, con tanto di link. Sia perché è lì che li ho letti; sia perché così se li può leggere pure chi si trova a passare di qua.
E allora, in rigoroso ordine cronologico (di come li ho letti, ovvio, sto twitter mi servirà ancora a qualcosa), eccoci:
Referential, by Lorrie Moore (New Yorker)
Lorrie Moore: se questo nome non ci dice molto, è perché ha scritto quasi solo racconti. Ma micidiali. Questo inizia così: “Per la terza volta in tre anni, si trovarono a discutere di quale regalo sarebbe stato opportuno per il loro figlio squilibrato: erano veramente poche le cose consentite, quasi tutto poteva essere trasformato in un’arma”. Può bastare?
Animali dell’impero, di Tomás Sánchez Bellocchio (Inutile)
Una vera chicca. Questo autore argentino non è (ancora?) tradotto in Italia, tranne che per questo stupendo pezzo su Inutile. Per fortuna sul suo sito ci sono altri racconti brevi, in uno spagnolo comprensibile persino per me. Il fantastico contamina il reale in modo subdolo, perturbante – o viceversa. Abbiamo il nuovo Borges? Non esageriamo, però…
Is God a Taoist?, by Raymond M. Smullyan (The mind’s I)
Quello del libero arbitrio è un falso problema. Un dialogo filosofico serratissimo tra Dio e un mortale. Indovinate chi vince?
Salome Was a Dancer, by Margaret Atwood (SoMA)
Se proprio non avete voglia di leggere un romanzo di Atwood (ne ha scritti tanti), se Il racconto dell’ancella “no dài, tanto ho già visto la serie tv”, sappiate che la scrittrice non è specializzata solo in fantascienza distopica femminista, ma anche in racconti brevi e brevissimi. Due pagine, una pagina, poche righe. Microfiction, come appunto si chiama la raccolta in cui è pubblicato questo racconto in Italia. (Che invece online ho trovato solo in inglese). Una perfetta condensazione dei temi cari alla Atwood, e del suo modo di affrontarli.
INTERRUPCIÓN DEL SERVICIO, by TOMÁS SÁNCHEZ BELLOCCHIO (The short story project)
Ancora Bellocchio, stavolta in spagnolo. Una storia misteriosa fino alla fine, e oltre. Da notare anche il sito: un progetto speciale di narrativa breve, internazionale e multilingue. Da tenere d’occhio.
Una donna, di Ileana Moriconi (Spazinclusi)
Sempre interessante guardare le cose da un altro punto di vista. Quello femminile, in questo caso. Ma non solo quello. Bel pezzo in sé, profondo senza retorica: la chicca finale lo rende super.
Cucciola di foca e squalo della Groenlandia, di Matthew Licht (Stanza251)
Gli animali sono sempre dei gran personaggi (pure se io preferisco ancor di più i batteri). Quelli marini, poi.
Venti fantasmi. Esemplari unici di un’infanzia e di un’adolescenza, di Luciano Funetta (Nuovi argomenti – Le parole e le cose)
Funetta è un giovane maestro del racconto fantastico. Qui riesce a ibridarlo benissimo con una storia di formazione. Cosa significa avere vent’anni? Cosa significa aver vissuto vent’anni? Cosa significa aver vissuto?
Ik-men-ha-kaf, di Rodolfo Wilcock (wilcock.it)
Questa eccentrica figura di argentino dal nome nordico e naturalizzato italiano è in un periodo di riscoperta e sta diventando un piccolo cult. A me, confesso, non mi fa impazzire sempre e comunque. Ma quando la imbrocca, come in questo caso, è insuperabile.
TEMPESTA SOLARE SUL POSTO DI LAVORO, di Gregorio Magini (Minima&moralia)
La fantascienza masticata, e risputata in forma di postmoderno. Riderci su finché riusciamo a sospendere la suspension of disbelief, ma poi alla fine lasciarsi andare ha il suo perché.
Microeconomia, di Andrea Verde (Inutile)
Una storia di paese, una come tante, di quelle che ci sembra di conoscere benissimo. Finché non arriviamo all’ultima riga.
Tutto il tempo del mondo, di Miguel Ángel Torres Vitolas (Inutile)
Di nuovo la rivista Inutile, di nuovo un sudamericano, di nuovo inedito in Italia.
Il Museo dell’Umanità, di Marco Lupo (TerraNullius)
I racconti più belli – come i romanzi, in questo caso non fa tanta differenza, anzi – sono per me quelli che non stanno a spiegare la rava e la fava, il contesto e l’apocalisse avvenuta e tutte le leggi fisiche che regolano quella parte di universo. Ma quelli che bam!, ti fanno piombare in mezzo a una situazione e poi te la devi sbrigare da solo.
Bullet in the Brain, Tobias Wolff (New Yorker)
Lo sappiamo benissimo quello che succede quando ci passa un proiettile attraverso il cervello, no?
I PAZIENTI DEL DOTTOR T., di Francesca Fiorletta (Verde Rivista)
Un racconto bizzarro, su una rivista altrettanto, da un’autrice che uh.
Car-Crash While Hitchhiking, by Denis Johnson (Paris review)
Io sono fissato con gli incipit, ma questo racconto di Denis Johnson ha uno degli explicit più belli della storia (e no, non è un plot twist).
La moglie, di Azzurra De Paola (AltriAnimali)
Un racconto fantastico. O meglio, new-weird. O forse creepy. Cioè, volevo dire, realistico.
Gradinata di gioielli, di Alberto Laiseca (CrapulaClub)
Un altro grande misconosciuto della letteratura sudamericana: forse perché scriveva racconti, forse perché è imprendibile.
La porta nel muro di H.G.Wells (AltriAnimali)
L’inventore del genere (ma quale?). Comunque, a differenza di molti colleghi, Wells invecchia benissimo.
La città dei bambini fantasma, di Ade Zeno (Retabloid – Via dei serpenti)
Thriller metafisico? Servito.
L’inquisitore, di Thomas Ligotti (Il Tascabile)
E sto Ligotti, invece? Un Poe sotto acido.
Blueprints for St. Louis, by Ben Marcus (New Yorker)
“Se sei un architetto, quello che progetti sono tombe, prima o poi”. Una distopia d’amore e guerra, di uno scrittore americano che per il momento qui non si fila nessuno.
Il ferro è una cosa viva, di Matteo Galiazzo, (Cadillac)
Strepitoso. A me se non s’era capito piace molto la fantascienza, quello che non mi piace tanto è il termine fantascienza. Science fiction è più ampio, più ecumenico: fiction, narrativa, con basi scientifiche. La chimica, la fisica, ma anche la linguistica e l’antropologia. C’è tutto, come sempre. Galiazzo è un genio.
IL TENENTE DI VASCELLO, di Alessandro Leogrande (The FLR – Minima&moralia)
Leogrande è morto quest’anno, aveva solo 40 anni. Era un ottimo scrittore d’inchiesta, ma anche con la fiction non se la cavava niente male, mannaggia.
PS: un ringraziamento generale va a tutte le riviste, soprattutto online, soprattutto piccole, che provano a mantenere in vita e diffondere le forme brevi.
Quanti romanzi si trovano in un solo racconto di Cortázar? (La risposta ti lascerà senza fiato)
Pubblicato: 27 febbraio 2017 Archiviato in: Articoli | Tags: dai giornali, henry cow, julio cortàzar, microrecensioni, racconti, recensioni, Stati Generali Lascia un commentoAvete presente Enrico Mucca? Ricordo ancora la sensazione di vertigine, di ottovolante sonoro, di impossibilità fisica rispetto a quello che pure era davanti ai miei occhi, anzi alle mie orecchie, la prima volta che un mio amico mi fece ascoltare gli Henry Cow. E dire che non cadevo dalle nuvole: avevo già fatto il callo alle stranezze e alle sperimentazioni del rock tra la fine dei ’60 e l’inizio dei ’70, non mi impressionavano più la musica quasi solo strumentale, i brani lunghi, le contaminazioni con la classica e il jazz e il rumorismo, l’invenzione continua, i cambi di tempo e di melodia e di timbro e di umore… Ma ragazzi, quella era un’altra cosa: era un’astronave in accelerazione supersonica verso lo spazio, era un caleidoscopio in mano a un cronopio sotto acido. Ricordo distintamente che dopo aver ascoltato i primi due minuti di Nirvana for mice sbottai: ma con tutte queste idee i Pink Floyd ci facevano dieci album! (I miei preferiti, i Pink Floyd, ma mi rendevo conto che erano capaci, anzi era questo il loro genio, di prendere un riff e mezzo e costruirci un LP intero).
La stessa vertigine, la stessa sensazione trovarmi davanti a una fantasia strabordante, quasi sprecona, l’avrei ritrovata solo ascoltando certi pezzi dei Naked City (Speedfreaks su tutti, un compendio di storia della musica in cinquantadue secondi; ma con effetto cercato, postmoderno, con intento citazionista e parodistico). Oppure leggendo Cortázar.
Torna la microrecensione, cioè la recensione (non necessariamente breve) di qualcosa di breve estratto da qualcosa di lungo: un rigo una frase una pagina una singola idea, presa da un libro. In questo caso è una microrecensione speciale, perché il cortissimo testo di Julio Cortázar si ritaglia già di per sé un’autonomia particolare all’interno della raccolta in cui si trova (Storie di cronopios e di famas, parte 1: Manuale di istruzioni), raccolta a sua volta composta da testi brevissimi e surreali, del tutto scollegati tra loro. Ma Istruzioni-esempi sul modo di avere paura è altro ancora.
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Le 5 regole (più una) per scrivere un racconto
Pubblicato: 1 marzo 2013 Archiviato in: Articoli | Tags: aristide maselli, libri, racconti, regole Lascia un commentoLe ultime che ho letto sono state quelle della Pixar. Anche loro si mettono a dare lezioni di scrittura, pardon di storytelling. D’altra parte, come sa bene chi ha la scusa di avere un figlio piccolo, le storie più appassionanti degli ultimi dieci anni si trovano nei film animati.
Ma tutti, appena diventano un minimo famosi, scrivono le regole per scrivere. Archivio Caltari ha una intera sezione esclusivamente dedicata al genere: le 10 regole di Roddy Doyle, le 10 regole di Franzen, le quasi 10 (in realtà 6) di Orwell, le 13 (?) di Chuck Palahniuk, le 5 di P.D. James, un Quintiliano tradotto da Barthes…
E non è detto che le migliori siano quelle delle grandi firme internazionali: di recente Matteo B. Bianchi sul blog di Veronica Tomassini ha messo giù 5 consigli per un esordiente, senza sboronate ma molto concreto. E non è neanche detto che uno se le deve leggere o tenere a mente tutte, le regole di tutti, pena la paralisi o l’impazzimento. Ognuno si fa il suo best of, si sceglie il meglio, o quello che più gli risuona, come si dice adesso. Io per esempio mi sparo una compilation con la 6 di Zadie Smith, la 10 della Atwood, la 10 di Palahniuk, quasi tutto Flaiano, lo spirito di Moresco… E tornando ai cartoni, a me quelle della Pixar non sono dispiaciute affatto, tranne che per il numero totale (22? che cavolo di numero mistico è 22?).
Certo di fronte alla supponenza che ogni elenco di regole o consigli ha, per sua stessa costituzione, è forte la tentazione di mettersi a sfottere, di farne una confutazione per assurdo. Perché rovesciandole totalmente, alcune suonano altrettanto credibili. Esempi depixarizzati:
#2 Devi tenere in mente quello che vuoi fare come scrittore, e non quello che ti piacerebbe leggere. Le due cose sono molto diverse
#3 Fare pratica di scrittura è importante. Ma mai quanto avere chiaro il tema della tua storia. Se non sai come va a finire, non iniziare neanche.
#18 Devi conoscere te stesso: sapere se stai dando il massimo o se ti stai gingillando. Scrivere una storia è perfezionare, non sperimentare.
#21 Non identificarti con il tuo personaggio: tu sei quello che lo guarda agire, ma non sei lui. E neanche un interprete dell’Actors’ studio
Troppo distruttivo però fare così, troppo critico e poco construens. Allora, lungi da me la presunzione di cercarne o inventarne di mie, ho chiesto consiglio al mio amico/collega d’oltreoceano Aristide Maselli. Il quale, da bravo italo-argentino trapiantato in Brasile, prima ha sospirato (non chiedetemi come faccio a sentire i suoi sospiri via mail, abbiamo un feeling), poi mi ha detto che ci pensava, ma solo a patto che fossero non più di cinque, e che comunque se ne parlava dopo il Carnevale di Rio. Ed eccoci qua. (Avvertenza: se c’è qualche errore o qualche frase che non capite, sicuramente il vizio non sta all’origine ma nella mia traduzione a spanne)
Le 5 regole per scrivere un racconto perfetto (più una raccomandazione finale)
di Aristide Maselli
1. Non lo scrivere. Fallo.
Il naturale istinto dell’uomo è verso l’azione, non verso la scrittura. Sei proprio sicuro di volerlo reprimere, con tutte le conseguenze freudiane del caso? Naturalmente, non sto dicendo che se ti viene in mente di uccidere qualcuno, piuttosto che metterti a scrivere la storia di un serial killer, devi effettivamente scendere in strada e ammazzare il primo che passa. È risaputo che la sublimazione letteraria ha salvato più vite dell’antipolio. Ma se questa cosa del serial killer ti perseguita, sicuro che sia meglio scrivere un racconto invece di parlarne con l’analista? Poi magari lo strizzacervelli come compito a casa ti dà da scrivere, e allora sarete contenti tutti e due. Ma se invece l’idea è quella di una storia in cui uno va a correre al parco e incontra l’amore della sua vita… invece di provare a scriverla, prova a infilarti le scarpette e andare al parco, hai visto mai.
2. Non lo scrivere. Cercalo.
Tempo fa avevo immaginato un raccontino pseudo-fantascientifico-distopico in cui tra i vari orrori la gente era obbligata a tenere una specie di tv accesa tutto il giorno, e scattava una punizione se si provava in qualche modo a sfuggire alla incessante voce del regime. Non lo scrissi, e bene feci. Perché qualche giorno fa ho letto in un libro che in Corea del Nord succede precisamente così – al netto delle fantasie tecnologiche – con la radio. Non voglio ammorbarti con la solita solfa della realtà che supera la fantasia, manco fosse una gara. Ma prima di iniziare a mettere nero su bianco, guardati attorno, ok?
3. Non lo scrivere. Leggilo.
Ottima idea, quella che hai avuto per questo racconto. Ma sei sicuro che nessuno lo abbia già scritto? Qui gli esempi di idee che saltano da un libro all’altro si sprecherebbero, perciò non ne faccio nessuno. Nel migliore dei casi, si dirà, sono storie di ignoranza e buona fede, nel peggiore di malafede e plagio. Ma credimi: è meglio copiare consapevolmente un classico, che trovarsi a dire le stesse cose perché non lo si è letto – e quasi certamente dicendole peggio.
4. Non lo scrivere. Raccontalo.
A voce, intendo. Diceva Borges che è una fatica inutile quella dello scrittore che riempie pagine e pagine per esprimere un concetto la cui perfetta esposizione orale non richiederebbe più di cinque minuti. E Schopenhauer raccontava che l’intuizione fondamentale che sta alla base del primo libro de Il mondo come volontà e rappresentazione fu un pensiero unico, secco, che però gli richiese un ponderoso volume per essere svolto per iscritto. Prova a raccontarlo, il tuo capolavoro. Se non funziona, è inutile che passi a scriverlo. Se funziona, magari scopri che ti basta, e sei felice così.
5. Non lo scrivere. Disegnalo.
Fai un’infografica, un mimo, un mockumetary, uno spettacolo di ombre cinesi, un blues, un’installazione di arte concettuale. Qualsiasi cosa, prima di arrenderti a scriverlo. La lettura è il modo meno sicuro per raggiungere la comprensione, e la scrittura il modo meno diretto per comunicare; vero è che mette a disposizione un più ampio ventaglio di possibilità e strumenti, formali quanto sostanziali, semiotici quanto retorici, ma perciò stesso gli accidenti che possono inopinatamente frapporsi tra il destinatario del messaggio e il significante stesso dimostrano a fortiori il rischio intrinseco di tali sforzi. Hai dovuto leggere più di una volta quest’ultimo periodo? Ecco, vedi che ho ragione.
6. Non lo scrivere. Si era capito?
Comunque. Se proprio non ci sei riuscito a tenerti, se il tuo racconto ha superato indenne tutti i suddetti tentativi di non essere scritto, cosa vuoi che ti dica, ormai il guaio è fatto. Solo, non mandarmelo, per carità. Sono troppo impegnato a non scrivere i miei.
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