Un viaggio nel 1° maggio dei lavoratori essenziali, quelli che continuano a lavorare
Pubblicato: 30 aprile 2020 Archiviato in: Articoli | Tags: 1 maggio, CheFare, coronavirus, dai giornali, interviste, lavoro, quarantena Lascia un commentoFacile dire #iorestoacasa. Non è una questione di volere, ma di potere. Viviamo in una bolla, e questo era noto da tempo, ma è incredibile come pur sapendolo, non riusciamo a cambiare la percezione: la nostra percezione di smartworker da divano, in questo momento, è che l’Italia si è fermata. Il mondo si è fermato. E invece.
I dati delle forze dell’ordine lo raccontano bene: su tutti i cittadini controllati, il 95% ha un valido motivo per uscire di casa. E nella maggior parte dei casi, quel motivo è: andare al lavoro. Lo conferma, ben più tragicamente, la sovrapposizione delle aree di maggior contagio con quelle di maggior produttività: fabbriche aperte, calche sui mezzi di trasporto.
Alla luce di questi fatti, la retorica governativa che tende a colpevolizzare il singolo cittadino per la sua irresponsabile disobbedienza – ieri il padrone di cani, oggi il runner, domani il genitore di bimbi piccoli – appare sempre più per quello che è: propaganda. Anzi, victim blaming.
Comprensibile l’incertezza sulle politiche da adottare, quando anche gli epidemiologi sono spesso in disaccordo e avanzano in territorio ignoto (non è la sconfitta della scienza, è la scienza), ma questo martellare su una sola nota ha il doppio effetto di sviare l’attenzione dalle vere responsabilità, e offrire capri espiatori alla gente sempre più esasperata. (Altra retorica: si è iniziato a dire che non bisogna parlare di social distancing ma di distanziamento fisico, però è proprio una frattura sociale, una frattura multipla, quella che stiamo vivendo.)
Coronavirus e lavoro: strano 1 maggio, quello del 2020, per esempio. Il primo in 130 anni (con la parentesi del Ventennio fascista in Italia) senza manifestazioni e piazze piene. Ma ci sono effetti meno clamorosi, e più pesanti. Il coronavirus, amplificatore di disagi e disuguaglianza, ha diviso il mondo del lavoro in tre segmenti.
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Le fasi del cibo in quarantena spiegate con la Trilogia dell’Area X
Pubblicato: 29 marzo 2020 Archiviato in: Articoli | Tags: coronavirus, dai giornali, Dissapore, food, Jeff VanderMeer, libri, quarantena, trilogia dell'area x Lascia un commentoVoi che siete gente studiata le conoscete meglio di me, le cinque fasi di elaborazione del lutto. Identificate dalla psichiatra svizzera Elisabeth Kübler-Ross, fondatrice della psicotanatologia ed esponente di punta dei death studies(allegria), sono: negazione, rabbia, negoziazione, depressione, accettazione. La teoria delle cinque fasi è stata sviluppata osservando le reazioni delle persone cui viene fornita una prognosi mortale, malati terminali e incurabili insomma. Riguarda quindi la propria fine, anche se viene utilmente applicata anche a chi deve elaborare un lutto nel senso comunemente inteso, cioè la perdita di una persona cara, e persino un lutto ideologico.
E noi, che tipo di elaborazione dovremo mettere in atto. Ovviamente, è troppo presto per parlarne: è sempre troppo presto per parlarne, finché non è troppo tardi. Secondo gli alfieri del “quando tutto questo sarà finito”, a un certo punto il virus scomparirà all’improvviso così come magicamente è apparso; le misure restrittive saranno tolte da un giorno all’altro; di botto, mentre un attimo prima ci guardavamo in cagnesco dai balconi, scenderemo tutti in strada abbracciando gli sconosciuti. Vi pare possibile?
Ma di perdite, se non vogliamo parlare di lutti, ne dovremo affrontare, e anche grosse. La perdita delle vittime, il lutto letterale: che andando avanti così, prima o poi a ognuno di noi verrà a mancare un caro, un amico, un conoscente. Poi ci saranno le conseguenze psicologiche dei mesi di clausura: saranno pesanti e a scoppio ritardato per i bambini costretti in casa, per le persone con disagi psichici – per non parlare di quelle che subiscono violenze domestiche. Ci saranno le conseguenze economiche, che la crisi del 2008 sarà una passeggiata di salute al confronto: magari servirà a mettere in discussione il modello di crescita infinita e drogata che finora abbiamo sempre considerato l’unico possibile – i più ottimisti già parlano di “fine del neolibersimo”, quel che è certo è che niente tornerà come prima, e questo per certi versi è un bene.
Infine, continuando ad allargare il cerchio, ci saranno conseguenze sul nostro stile di vita in generale: forse invece di abbracciarci, continueremo a mantenere le distanze, a guardarci con un po’ di diffidenza. Anche, e soprattutto, a tavola: forse smetteremo di affollarci ai banconi dell’apericena, forse i ristoranti – come ora sta succedendo in Cina, che è due mese avanti a noi – dimezzeranno i coperti. Forse, forse, forse. Ma poi, fondamentalmente, quello che succederà non lo sappiamo.
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Quarantena con bambini? Guida alla sopravvivenza alimentare
Pubblicato: 18 marzo 2020 Archiviato in: Uncategorized | Tags: corona, dai giornali, Dissapore, food, quarantena Lascia un commentoComincio autodenunciandomi. Il 23 febbraio, quando l’emergenza Coronavirus era appena all’inizio, il Piemonte e la Lombardia decidevano di chiudere scuole e università per una settimana; in realtà era un prolungamento di soli due giorni dato che da lunedì 24 a mercoledì 26 erano già previste le cosiddette vacanze di carnevale. Il giorno dopo io – che lavoro da casa e che già per tappare il buco di quei tre giorni con due bambini mi ero fatto tutto un programma con largo anticipo – scrivevo su Facebook:
Scuole chiuse.
Io non so se stanno sopravvalutando le potenzialità omicide del cornavirus. Ma di certo stanno sottovalutando quelle dei genitori.
Faccio qui pubblica ammenda perché non mi sbagliavo una volta, ma due. Stavo sottovalutando – facile dirlo col senno di poi – la terribile infettività e l’elevata mortalità del virus, da un lato. Ma dall’altro, sottostimavo anche la mia, la nostra capacità di resistenza. Altro che due giorni in più: è passato quasi un mese, e a casa mia siamo ancora tutti vivi. Certo ci mandiamo seriamente a quel paese venti volte al giorno, e sembriamo sempre a un passo dal metterci le mani addosso – ma per fortuna non ci siamo ancora sbranati.
E lo so che molti di voi vivono da soli e quindi pagherebbero per fare due chiacchiere con un essere umano in 3D, vi capisco e non vi invidio, ma vi assicuro che anche io per un giorno alla settimana vorrei fare a cambio con la vostra condizione, almeno quanto voi vorreste stare un po’ al posto mio. Capisco tutti, anche quelli che stanno sclerando (io sto sclerando). E lo so anche che oltre a esserci gente che vive sola, c’è gente che muore sola, in un reparto di terapia intensiva senza il conforto di un parente, e che se ne va all’altro mondo senza neanche un funerale: insomma se vogliamo fare la gara del benaltrismo, ci sta sempre una situazione davvero grave, o comunque più grave della nostra.
Se invece vogliamo sopravvivere non solo fisicamente, cerchiamo di prendere quello che c’è di buono nelle specifiche situazioni in cui siamo costretti, di tollerare un po’ di più gli scleri altrui (sì, anche di quelli che escono, e di quelli che se la prendono con quelli che escono, e di quelli che se la prendono con quelli che se la prendono con eccetera eccetera), di accettare che qualcuno ci faccia il predicozzo tipo quello che avete letto finora. E che qualcun altro – sono sempre io, da qui in avanti – si metta a dare consigli gastronomici semiseri per la quarantena con figli.
Mi rendo conto, infine, che per molti di voi siamo a “quarantena giorno 9”, ma qui in Piemonte le misure sono scattate prima, e ancor prima come dicevo hanno chiuso le scuole: ai fini che qui interessano, siamo con i bambini a casa h24 da un mese, fidatevi di chi ha un minimo di esperienza. Tra passare tutta la giornata ai fornelli e lanciare ai figli pacchetti di patatine e würstel crudi senza alzarsi dal divano, una via di mezzo c’è. Potete sopravvivere a una quarantena con i vostri bambini, credetemi, almeno sul fronte del cibo.
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Una giornata da recluso: diario della quarantena e guida alle risorse culturali open
Pubblicato: 13 marzo 2020 Archiviato in: Articoli | Tags: CheFare, coronavirus, media, quarantena Commenti disabilitati su Una giornata da recluso: diario della quarantena e guida alle risorse culturali openStamattina mi sono svegliato con l’angoscia. E non era l’ansia generica da contagio, o il basso continuo della preoccupazione per certi familiari lontani, persone anziane e con patologie pregresse, come si dice. Era una cosa più sottile.
Non so a voi, ma a me non mi sta pesando tanto la quarantena fisica, quanto quella mentale. Uscire, uscivo poco già prima: certo ricordarsi l’autocertificazione quando si scende a buttare l’immondizia, pensare di dover dare una giustificazione credibile se si fanno due passi in più nelle strade deserte, non aiuta.
Aggiungete che qui in Piemonte le scuole non hanno mai aperto da prima delle vacanze di carnevale (21 febbraio), per cui di fatto siamo in mezza clausura da tre settimane, e quando leggo altrove “quarantena giorno 3”, quel che penso è: tsk, pivelli. Ma quello che mi sta stressando – e non credevo, o almeno non credevo così presto – è la gabbia mentale. Non si parla d’altro, non si pensa ad altro. Anche volendo, anche sforzandosi.
Oggi, stranamente, avevo qualche ora libera: bene, mi sono detto, mi metto a scrivere quel longform che rimando da settimane. Non era neanche una cosa leggera, o inattuale: climate change e apocalissi, estinzioni e de-estinzioni, fini dei mondi conosciuti e strategie di sopravvivenza. Be’, mi sono fatto forza per cercare un barlume di quell’entusiasmo che avevo quando lo proposi ma niente, l’idea mi rendeva felice come se avessi dovuto fare un pezzo sulle fantasie dei copri-divano.
Passerà? Passerà. Come ne usciremo? Non si sa. Per ora saltabecchiamo dalle timeline dei social ai siti dei giornali: la pandemia è prima di tutto infodemia, compulsione da refresh.
Dice ma dovrai pure lavorare: eh sì, peccato che quando non leggo scrivo, e indovinate un po’?, scrivo di libri che parlano di epidemie, per esempio. Certo, c’è modo e modo di informarsi sullo stesso argomento: ci sono le intelligenti divulgazioni di Oggiscienza e di Roberta Villa, ci sono interessanti riflessioni su come il Coronavirus stia mettendo a nudo le fragili impalcature della nostra industria culturale e delle nostre stesse vite. Sta sorgendo tutta una letteratura dell’emergenza, con consigli utili pratici e psicologici, con teorie e approfondimenti generali. Okay, ma non si sfugge. Si seleziona, ma non si scappa.
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