Marco Ciriello, autobiografia di Napoli

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Napoli non è una città. È un’idea, una fantasia, un sogno (un sonno). Inferno televisivo per chi non c’è mai stato, purgatorio quotidiano per chi ci vive, paradiso perduto per chi se n’è dovuto andare.

Marco Ciriello è quello che si definisce uno scrittore prolifico, e polimorfo: quanti libri ha scritto, nell’ultimo decennio all’incirca, forse non lo sa neanche Ibs.it, figuriamoci lui. (È anche uno che non se la tira: ha pubblicato per le case editrici più assurde e sconosciute.) Ma, tra i multiformi temi, uno ricorre: Napoli. La Domitiana de Il vangelo a benzina, la religione e il cibo (la religione del cibo) in SanGennaroBomb. E ora questi due, usciti a poca distanza uno dall’altro (l’ho detto che scrive tanto, il ragazzo): Un giorno di questi, per Rubbettino, e Maradona è amico mio, per 66thand2nd.

È come se Ciriello, invece di dedicare uno sforzo titanico alla costruzione di un’opera mondo sulla sua (e mia) città, stesse assemblando nel corso degli anni, più o meno consapevolmente, un mosaico: tessera dopo tessera, un autoritratto di Napoli a rate. Tanto che mi fa venire in mente quell’artista – descritto da uno scrittore cileno – che passa tutta la vita a dipingere una raffigurazione dell’universo, e lo riempie di particolari, di città di animali di battaglie, e quando ha finito, il quadro e la vita, lo guarda e si accorge che non ha dipinto altro che un’immagine del proprio volto. Ma forse mi sto confondendo, tra Napoli e Ciriello.

(conitnua su Esquire)