Storie che si biforcano (estratto su L’Indiscreto)
Pubblicato: 2 aprile 2021 Archiviato in: Storie che si biforcano | Tags: estratti, l'indiscreto, rassegna stampa Lascia un commentoDue racconti paralleli da Storie che si biforcano. Un estratto uscito su L’Indiscreto.

Senza eguali. La stanza di sopra
Il pregiudizio che la civiltà moderna ha faticato di più ad espungere è stato senz’altro quello dell’eguaglianza tra gli esseri umani. Quando oggi pomeriggio Bartolomeo è entrato nello studio a portarmi il caffè, ho voluto bonariamente canzonarlo, e gli ho mostrato il foglio incartapecorito che ho davanti. Come c’era da aspettarsi non ha capito nulla, né quello che c’è scritto né tantomeno che si tratta di un documento antico. Ha preso a fissarmi con gli occhi leggermente sbarrati, come fa quando qualcuno in sua presenza parla di argomenti diversi dal cibo e dalle pulizie domestiche. Ho sorriso tra me, l’ho rassicurato dandogli un buffetto sulla guancia e un ordine per la cena, e l’ho congedato. Non che volessi metterlo alla prova o cercassi conferme. Intendevo solo toccare con mano, dopo una lettura inquietante come tutte quelle che si riferiscono alle ere passate, una realtà felicemente assodata. Oggi pare sinistramente ridicolo, ma vi sono stati lunghi secoli in cui il principio secondo il quale gli uomini, per il solo fatto d’essere tali, sarebbero tutti eguali tra loro e ciascuno non diverso da ogni altro, andava per la maggiore. Non solo era propugnato da teoreti degenerati, ma anche assunto nel comune sentire della così detta opinione pubblica. Salvo poi essere smentito in pratica, con azioni naturaliter prevaricatorie e razziste, proprio da coloro che se ne facevano vessilliferi; ma questo ci dice meno sulla conclamata ipocrisia dei nostri avi, che sull’effettiva inconsistenza di tale superstizione egualitaria. Eguaglianza che per gran tempo si volle tanto biologica quanto intellettiva, sia davanti alle leggi sia nei commerci quotidiani, e che le frange più accese provarono a imporre financo nei compensi lavorativi e nelle opportunità di contrarre matrimonio.
(Continua su L’Indiscreto)
Choose your own longform!
Pubblicato: 23 novembre 2020 Archiviato in: Articoli | Tags: Carlo Mazza Galanti, Cosa pensavi di fare?, dai giornali, effequ, il Saggiatore, l'indiscreto, libri, Lorenzo Fantoni, storie a bivi, Vivere mille vite Lascia un commentoUn saggio a bivi sulle narrazioni a bivi.
Si legge su L’Indiscreto.
Estate 2020, libri da leggere / 1: l’Indiscreto
Pubblicato: 31 luglio 2020 Archiviato in: Articoli | Tags: China Mieville, codice edizioni, Fanucci, Gli ultimi giorni della nuova Parigi, Ian Tattersall, l'indiscreto, libri, Rob DeSalle, Storia naturale della birra Lascia un commentoE ora, qualcosa che non vi aspettate: si parla di microbiologia, analisi sensoriale, supply chain, etanolo. In una parola, di birra. Sulla scia del fortunato Il tempo in una bottiglia. Storia naturale del vino, l’affiatata coppia DeSalle-Tattersall torna con Storia naturale della birra (Codice edizioni, traduzione di Gianni Pannofino). Ian Tattersall è antropologo e paleontologo, Rob DeSalle è biologo e genetista: un arco di scienza necessario per quella che è probabilmente la bevanda alcolica più antica al mondo. Dalla scoperta della fermentazione all’odierna rinascita dei birrifici artigianali; dagli effetti che l’alcol fa al cervello (e alla panza) fino agli aspetti sociali nelle varie epoche e regioni; dal labirinto delle varietà e dei metodi alle questioni politiche: la birra si presta a essere guardata da innumerevoli sfaccettature. Lo diceva anche Gilgamesh: mangiare pane e bere birra – che poi sono la stessa cosa in forma diversa – è ciò che distingue l’uomo civile dal selvaggio. È un viaggio caleidoscopico, Tattersall e DeSalle raccontano di tutto. Ma, e anche questo è un pregio, non raccontano tutto: lasciano buchi, dubbi, domande, voglia di approfondire. Ed è il servizio migliore che un divulgatore può rendere alla birra. Volevo dire alla scienza.
E ora, qualcosa che vi aspettate: si parla di arte, speculative fiction, inconscio, occultismo. In una parola, di Surrealismo. È appena uscito un altro folgorante libro di China Miéville. Gli ultimi giorni della nuova Parigi (Fanucci, traduzione di Pierluigi Fazzini) appartiene a quel genere particolare di fantascienza che va sotto il nome di ucronia: la creazione di una realtà parallela alla nostra, un universo dove a un certo punto è successo qualcosa che ha deviato i binari. Il topos più diffuso nel genere, tanto diffuso da costituire un vero e proprio sottogenere, è l’ambientazione un mondo in cui i nazisti hanno vinto la guerra: Fatherland di Robert Harris, Il signore della svastica di Norman Spinrad, e ovviamente su tutti The man in the high castle (Il signore della svastica) di Philip K. Dick. Qui siamo nel 1950, e se il Reich non ha vinto è solo perché la guerra non è ancora finita. Ma il fatto davvero assurdo è l’innesco che ha provocato il deragliamento: l’esplosione di una bomba all’interno del leggendario caffè parigino Les Deux Magots, bomba che ha realizzato le sfrenate fantasie dei surrealisti. Si aggirano così – per una Parigi dilaniata da una guerriglia eterna fra nazisti, spie, partigiani e altre oscure forze – cadaveri eccellenti e donne-bicicletta (il Vélo di Leonora Carrington), l’elefante robot di Max Ernst e i telefoni-aragosta di Dalì. Ex opere d’arte, ora sono mostri in carne e metallo, manifestazioni tridimensionali di una insuperabile energia spirituale, colloquialmente detti manif. Ha un po’ di Tolkien e un po’ di VanderMeer, un’atmosfera alla Volodine e un ricordo di Lovercraf, ma è sempre il nostro ineffabile Miéville. Gli ultimi giorni della nuova Parigi sta tra fantasy e sci-fi, new weird e steampunk, ma è in definitiva, e soprattutto, surrealista. Anzi, surreale.
(Il mio contributo ai consigli per l’estate de L’Indiscreto)
Theory fiction all’italiana
Pubblicato: 20 luglio 2020 Archiviato in: Articoli | Tags: Anatomia di un profeta, Baco, Cronache della Metropoli, dai giornali, Demetrio Paolin, Elena Giorgiana Mirabelli, Exorma, Flavio Pintarelli, Giacomo Sartori, l'indiscreto, Ledizioni, libri, theory fiction, tunuè, Voland Lascia un commentoNegli ultimi anni s’è fatto un gran parlare di theory fiction, anzi l’espressione è diventata l’ultimo passe-partout concettuale, la buzzword del momento, almeno all’interno di una certa bolla speculativa. Ma che cos’è precisamente la theory fiction? Non è facile dirlo. D’altra parte, con le formule icastiche, scivolare è un attimo: basta girare le parole e subito escono fuori declinazioni più tradizionali: theory of fiction, o fiction theory, insomma “l’indagine teorica sulla narrativa”, qualcosa che sta tra la critica letteraria e l’analisi narratologica strutturalista. Di theory fiction ultimamente si è parlato soprattutto in relazione a Ballardismo applicato di Simon Sellars (sull’Indiscreto spunto per un ragionamento di Gianluca Didino), ed è indubbio che questo magmatico oggetto letterario mescoli teoria e finzione in modo innovativo. Fortuna che c’è chi ha fatto il lavoro per noi: Flavio Pintarelli, ad esempio, si è chiesto “Che cos’è la theory fiction?” (su Not ). Scopriamo che non ce n’è una ma varie: la poetic theory (Ligotti, Virilio) e la narrative theory (Serres), la sci-phi (Ballard, LeGuin) e la theoretical fiction (Borges, Preciado, Sarah Kane). Non un genere, sintetizza Pintarelli tramite Sellars, ma “un’attitudine che appare al termine di un processo per cui, di fronte al caos inesplicabile del mondo moderno, la teoria perde qualsiasi capacità di spiegazione e la sua forma canonica si perde, si spezza e reagisce deformandosi o colando attraverso altri generi di scrittura”.
D’aiuto ci è anche Claudio Kulesko, che abbatte i confini non solo tra i generi letterari ma tra forme espressive stesse: “Con theory-fiction si intende un arcipelago (più che un genere), narrativo che, muovendo da determinate condizioni attuali − politiche, economiche, ecologiche o sociali − immagina e tratteggia mondi e futuri possibili, esplorando e, appunto, teorizzando motivi, modalità e conseguenze delle vicende descritte in un’opera, offrendone al tempo stesso un ‘assaggio’ fenomenologico – offrendo, cioè, al fruitore la possibilità di immergersi tramite uno o più avatar in questi micro-universi d’esperienza. Sotto questa categoria dai contorni sfumati ricadrebbero tanto la quantum fiction di De Lillo, quanto Blade Runner o l’album Man-machine dei Kraftwerk; tanto Death Note quanto il classico del videogaming Metal Gear Solid (a mio parere, una delle più intense riflessioni sul tema della guerra mai prodotte)”. Quindi, abbiamo un doppio movimento: da un lato una saggistica che non ce la fa a rimanere tale, nell’empireo della pura e sistematica teoria, per cui sfrutta gli stilemi tipici della finzione: invenzione, ricerca linguistica, intersezioni autobiografiche. Dall’altro, una fiction – guarda caso, soprattutto di genere, quindi un tempo letteratura di serie B – alla quale le maglie della narrativa, il semplice plot, stanno strette, e che si lancia in riflessioni teoriche. Ancora Pintarelli: “È ancora Mark Fisher a indicarci la strada quando, sulla scorta di Baudrillard, nota che il divenire finzione della teoria è necessariamente accompagnato dal divenire reale della finzione. Iperstizione dunque. Un doppio movimento che dissolve l’opposizione tra la teoria come modellizzazione e l’invenzione finzionale come creazione di mondi. È in questo senso che la theory fiction si mostra come il tentativo di elaborare una forma di scrittura capace di essere all’altezza delle sfide poste da un mondo in cui la forma computazionale del pensiero è diventata la forma culturale egemonica”. (En passant, sia Pintarelli che Kulesko, lui addirittura nel titolo, parlano di iperstizione, altra buzzword, che dovrebbe indicare la profezia che si autoavvera ma, se ho capito bene, elevata a sistema.)
Ora, il brutto delle buzzword è che s’infilano nei meandri del cervello tipo i tormentoni dell’estate, e ti spuntano fuori anche dove non ci azzeccano niente. E il bello qual è? Lo stesso. Ho iniziato a trovare dei collegamenti sotterranei, dei tratti comuni, tra vari libri che stavo leggendo nei mesi scorsi, prima e durante la peste. Libri di autori che c’entrano poco l’uno con l’altro – per età, milieu, stile – ma che a me facevano risuonare in testa la formula magica: theory fiction. In un senso particolare però, opposto rispetto alla theoretical fiction: non una saggistica che adotta stili e tecniche della narrativa, ma una narrativa che usa strumenti e soluzioni tipiche dell’analisi teorica. Uniche cose in comune tra questi libri, la definizione (lasca) di romanzo, il provenire da autori italiani. Perciò mi è venuto “theory fiction all’italiana”, sulla scorta della commedia all’italiana: come quella era un passo oltre la commedia leggera, rispetto alla quale introduceva note di fondo amare e satira di costume, così questa è – no niente, il paragone non regge, semplicemente mi piaceva il titolo.
Ecco allora un breve giro in quattro libri, con due avvertenze: 1) di essere accostati sotto tale insegna gli autori, almeno la maggior parte, si stupiranno se non peggio; 2) la lista è eterogenea e parziale – non viene da un critico letterario, ma da un lettore, un giornalista perso nella metafiction – e perciò aperta; magari in futuro verrà ampliata, magari non da me.
(Continua su L’Indiscreto)
Nuova era chiara
Pubblicato: 13 gennaio 2020 Archiviato in: Articoli | Tags: dai giornali, l'indiscreto, libri, medioevo Lascia un commentoNel novembre del 2017, mentre era appena scoppiato il caso Weinstein e i movimenti #quellavoltache e #metoo scoperchiavano un calderone di sopraffazioni e orrori, un lungo post su Medium ci faceva fare un giro in una galleria di orrori virtuale ma non per questo meno sconvolgente: YouTube. Il suo autore, l’artista e scrittore James Bridle, si sentiva addirittura in obbligo di anteporre il disclaimer sui contenuti sensibili, e specificava di non aver postato il pezzo sul suo blog per tenere in qualche modo la materia lontana da sé. La materia in questione erano i video più inquietanti di sempre diretti a un target di bambini piccoli: video montati e indicizzati da macchine (o peggio, da persone che pensano come macchine) in cui venivano mostrati pupazzi e personaggi dei cartoni animati compiere azioni che andavano dal demente al terrificante. Da Hulk che apre delle porte dietro le quali ci sono vari colori e urla disperato finché non trova il verde, all’Uomo Ragno che viene sepolto vivo insieme a Elsa di Frozen e Peppa Pig. A rendere ancora più weird il tutto, il contrasto tra la natura giocosa dei personaggi, la musica allegra e la ritmica in loop, alcuni effetti sonori come applausi e risate finti ripetuti ossessivamente, l’estetica ipersemplificata e rozza del montaggio, la crudeltà o l’insensatezza di certe scene. Per carità, nulla che un genitore di un bambino tra gli 1 e i 3 anni, quorum ego, non avesse notato con apprensione, provando a strappare di mano il cellulare ai figli riluttanti, o almeno a cambiare video: ma detto bene e sistematizzato. Soprattutto incrociato con la considerazione che da un lato i piccoli dagli anni ’10 vengono lasciati soli con il babysitter YouTube – e sono in grado di usarlo, grazie al touchscreen e all’abilità di navigare nelle preview – dall’altro questi video, prodotti massivamente, erano in grado di scalare le posizioni grazie appunto a quantità e indicizzazione: anche partendo dal cartone più innocente sul canale più ufficiale, nel giro di uno, massimo due correlati si finiva nella fogna. La cosa più inquietante di tutte era che non si capiva quale fosse lo scopo di questi contenuti-mostro: semplicemente provare a scalare i meccanismi algoritmici di una piattaforma globale, o allevare una generazione assuefatta alla violenza? Il bubbone esplose, di Peppa Pig killer ne parlarono ovunque, noi genitori tech ci sentimmo a un tempo additati come irresponsabili e capiti nelle nostre paranoie.
Da allora le cose sono andate molto meglio per tutti. Per i bambini, dato che YouTube introdusse controlli più severi e filtri che, detta due anni dopo, sembrano reggere. E per James Bridle, che da artista che si occupa e preoccupa di tecnologia, è diventato autore di un piccolo caso editoriale, nel quale quel post è confluito diventando il capitolo di una trattazione più ampia: Nuova Era Oscura (Not – Nero Editions). L’idea è affascinante: internet e la tecnologia più avanzata come scale che invece di ascendere al cielo precipitano all’inferno. Il libro è bello e documentato, anche se forse a volte per voler strafare gli scappa qualche errore: per esempio nel citatissimo passaggio che spiega come tra i vari disastri collegati al riscaldamento globale ci sia l’aumento della CO2 nell’atmosfera e quindi la diminuzione dell’ossigeno, il che ci porta ad avere meno carburante per il cervello e quindi a essere più stupidi (non è vera né l’una cosa – aumenta l’anidride carbonica ma non diminuisce l’ossigeno – né l’altra: sennò dal Tibet alle Ande sarebbero tutti scemi). Ma qui non ci interessa il dettaglio, bensì il paradigma. E quello del “nuovo medioevo” sta diventando centrale, ben più che una buzz word di successo. Negli ultimi tempi infatti si moltiplicano gli articoli e le analisi che individuano dei parallelismi, in modo banale o arguto, tra questi tempi e l’età di mezzo. E non parlo delle lamentazioni che scattano implacabili quando vengono a galla pratiche o leggi ferocemente regressive (contro l’aborto, ad esempio): Aiuto, questi vogliono riportarci al medioevo! Ma di qualcosa di più profondo.
(continua su L’Indiscreto)
Il nome segreto di Arendelle
Pubblicato: 16 dicembre 2019 Archiviato in: Articoli | Tags: dai giornali, film, l'indiscreto, libri 1 CommentoCi sono cose che si sanno anche se non si conoscono. Soprattutto se non si conoscono. Le tradizioni e i miti appartengono alla cultura, cioè alla memoria collettiva di un popolo, e sono saperi che non si apprendono, ma si assorbono, si respirano. Un italiano del XXI sec. non ha bisogno di imparare che la pasta si getta in una pentola d’acqua bollente, e non fredda: lo ha visto fare talmente tante volte che lo sae basta. Così gli antichi greci non si mettevano a studiare l’Odissea, ma erano semplicemente circondati dalle storie di eroi e divinità. Proprio come noi siamo immersi nel nostro brodo di cultura e non dobbiamo fare sforzi per conoscere biografie o aneddoti delle celebrity e delle star (l’accostamento non scandalizzi: si potrebbe dire che ognuno ha i miti che si merita, ma sarebbe malcelato snobismo anch’esso; piuttosto non si trascuri la parola “star” perché è un concetto chiave, su cui torneremo). Tutto questo per dire che non è necessario amare la saga di Frozen, e neanche aver visto i due film usciti finora, per sapere di cosa stiamo parlando.
Sappiamo che Frozen – Il regno di ghiaccio (2013) dichiara esplicitamente un’ascendenza nobile: la fiaba di Andersen intitolata La regina delle nevi. (In realtà il collegamento è talmente tenue, come si può vedere leggendo la lunga e cupa narrazione, che se non fosse stato appunto sbandierato, non se ne sarebbe accorto nessuno). Sappiamo che i film d’animazione Disney attingono a piene mani dai repertori mitologici, semplificando e stravolgendo, e questo ci può piacere o meno, ma è un fatto. Frozen più di altri è immerso in una foresta di simboli e richiami, in particolare dalla mitologia norrena. I quattro elementi – acqua aria fuoco terra – per esempio, sono ubiqui; non altrettanto le loro personificazioni. Nei miti dell’estremo nord ricorre la raffigurazione del mare come un cavallo, una bestia impetuosa e indomita, di colore grigio scuro, che travolge e annega, spingendo giù con le zampe. (Qualche residuo arriva fino all’italiano: l’onda si cavalca, e il bimbo ha paura dei cavalloni.) Chi ha visto Frozen II ricorderà come una delle scene più oniriche – sono le migliori, arrivando in certi casi al confine con lo psichedelico – lo scontro subacqueo tra Elsa e lo spirito dell’acqua: un cavallo. Ma di esempi se ne potrebbero fare tanti; qui ne vedremo uno: è il filo più sottile, più occulto, ma più gratificante se lo si riavvolge tutto.
Mito, leggenda, fiaba e fantasy sono, com’è noto, cose diverse, ma contigue: gli spiriti trapassano dall’una all’altra senza darsi pensiero, e così faremo noi, seguendoli.
(Continua su L’Indiscreto)
Classifica di qualità dei libri usciti tra il primo ottobre 2018 e il 31 gennaio 2019
Pubblicato: 21 febbraio 2019 Archiviato in: Articoli | Tags: classifica di qualità, l'indiscreto, libri Lascia un commento(Da L’Indiscreto)
Le classifiche di vendita dei libri parlano sempre meno di letteratura, perché sono condizionate dalla massiccia presenza di prodotti editoriali costruiti per cavalcare l’interesse del momento. Per questo motivo, dal 2009 al 2013 il festival Pordenonelegge e il premio Dedalus avevano istituito le “Classifiche di qualità”, dove un nutrito gruppo di “grandi lettori” votava periodicamente quelli che a suo avviso erano i migliori libri usciti in quel lasso di tempo.
Abbiamo così deciso (col placet dei fondatori della prima versione) di rilanciare sotto il nostro patrocinio una nuova edizione delle “Classifiche di qualità”. A partire dai critici interpellati in una grande inchiesta sullo stato della critica letteraria ad opera dello scrittore Vanni Santoni, l’autore e la redazione si sono operati per ricreare un gruppo di “grandi lettori”, che, oltre ai succitati critici e alle scrittrici e agli scrittori italiani che si sono offerti di partecipare, si estende anche a riviste letterarie, librerie indipendenti, giornalisti culturali, editor e altri operatori del settore, per un totale di 280 giurati. Un numero destinato ad ampliarsi con le nuove edizioni, in modo da garantire una classifica sempre più affidabile.
La nuova Classifica di qualità dell’Indiscreto sarà stilata tre volte l’anno, a metà dei mesi di febbraio, giugno e ottobre, secondo intervalli proporzionati agli archi della produzione editoriale, e interpellerà i votanti in merito ai migliori libri italiani di prosa, poesia e saggistica del periodo immediatamente precedente. I giurati si esprimeranno con tre voti per ogni categoria; a ogni primo posto saranno assegnati nove punti, cinque al secondo e tre al terzo. Conclusa la votazione, la redazione calcolerà i risultati per poi pubblicare i risultati su L’Indiscreto. A fine anno si aggiungerà un voto extra sui migliori libri in traduzione.
Scopo di queste classifiche è fornire ai lettori un utile indicatore sui titoli più meritevoli secondo gli addetti ai lavori, di cui è stato scelto un campione capace coprire una grande varietà di interessi e competenze, in numero sufficiente da diluire nella statistica i danni di eventuali partigianerie. L’industria editoriale ha risposto alla crisi continuando nell’errore di una produzione eccessiva e accelerata, che rischia di far scomparire in breve tempo titoli più che degni di rimanere negli scaffali. Quel che ci proponiamo con queste classifiche, è di ostacolare questa tendenza e riportare l’attenzione sui libri di qualità, che non di rado rischiano di essere travolti in questa escalation.
Regolamento e lista dei grandi lettori
Classifica di febbraio 2019
(libri usciti tra il primo ottobre 2018 e il 31 gennaio 2019)
Narrativa
1) Emanuele Trevi, Sogni e favole, Ponte alle Grazie
2) Tommaso Pincio, Il dono di saper vivere, Einaudi Stile libero
3) Ezio Sinigaglia, Il pantarèi, TerraRossa
4) Sergio Nelli, Ricrescite, Tunué
5) Walter Siti, Bontà, Einaudi Stile libero
6) Teresa Ciabatti, Matrigna, Solferino
7) Wu Ming, Proletkult, Einaudi Stile libero
8) Alberto Schiavone, Dolcissima abitudine, Guanda
9) Marco Marrucci, Ovunque sulla terra gli uomini, Racconti edizioni
10) Cristiano Cavina, Ottanta rose mezz’ora, Marcos y Marcos
(continua su L’Indiscreto)
La rivista culturale L’Indiscreto rilancia le “classifiche di qualità” con duecento giurati dal mondo letterario e editoriale
Pubblicato: 11 febbraio 2019 Archiviato in: Articoli | Tags: l'indiscreto, libri Lascia un commento(tra i duecento ci sarò anche io, ma non è solo per questo che pubblico il seguente comunicato:)
Per questo motivo, dal 2009 al 2013 il festival Pordenonelegge e il premio Dedalus avevano istituito le “Classifiche di qualità”, dove un nutrito gruppo di “grandi lettori” votava periodicamente quelli che a suo avviso erano i migliori libri usciti in quel lasso di tempo.
A partire dai critici interpellati in una grande inchiesta sullo stato della critica letteraria ad opera dello scrittore Vanni Santoni, l’autore e la redazione si sono operati per ricreare un gruppo di “grandi lettori”, che, oltre ai succitati critici e alle scrittrici e agli scrittori italiani che si sono offerti di partecipare, si estende anche a riviste letterarie, librerie indipendenti, giornalisti culturali, editor e altri operatori del settore, per un totale di 200 giurati. Un numero destinato ad ampliarsi con le nuove edizioni, in modo da garantire una classifica sempre più affidabile.
La nuova Classifica di qualità dell’Indiscreto sarà stilata tre volte l’anno, a metà dei mesi di febbraio, maggio e ottobre, secondo intervalli proporzionati agli archi della produzione editoriale, e interpellerà i votanti in merito ai migliori libri italiani di prosa, poesia e saggistica del periodo immediatamente precedente.
I giurati si esprimeranno con tre voti per ogni categoria; a ogni primo posto saranno assegnati nove punti, cinque al secondo e tre al terzo. Conclusa la votazione, la redazione calcolerà i risultati per poi pubblicare i risultati su L’Indiscreto.
A fine anno si aggiungerà un voto extra sui migliori libri in traduzione.
Scopo di queste classifiche è fornire ai lettori un utile indicatore sui titoli più meritevoli secondo gli addetti ai lavori, di cui è stato scelto un campione capace coprire una grande varietà di interessi e competenze, in numero sufficiente da diluire nella statistica i danni di eventuali partigianerie.
L’industria editoriale ha risposto alla crisi continuando nell’errore di una produzione eccessiva e accelerata, che rischia di far scomparire in breve tempo titoli più che degni di rimanere negli scaffali. Quel che ci proponiamo con queste classifiche, è di ostacolare questa tendenza e riportare l’attenzione sui libri di qualità, che non di rado rischiano di essere travolti in questa escalation.
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