Storie che si biforcano (estratto su Cattedrale)

Due racconti paralleli da Storie che si biforcano. Un estratto uscito su Cattedrale. Osservatorio sul racconto, con un’introduzione di Andrea Cafarella.

«Questo libro è composto da 21 coppie di racconti paralleli. Sono storie che iniziano nello stesso modo, con le stesse identiche parole, ma a un certo punto si biforcano. Nei primi racconti cambia solo il finale; negli ultimi, quasi tutto». Troverete queste parole scritte nella bandella di quello che la bandella opposta definisce «il primo libro» di Dario De Marco. In realtà Dario De Marco scrive per tantissimi giornali (qui, qui, qui, qui, qui, qui e qui), sono usciti suoi racconti in altrettante riviste (qui, qui, qui, qui, qui, qui e qui) e ha già scritto due libri: «il romanzo Non siamo mai abbastanza (66thand2nd) e la non fiction Mia figlia spiegata a mia figlia(LiberAria)». Perché mai questo suo Storie che si biforcano è definito come suo «primo libro»? Probabilmente perché è stato scritto prima degli altri due (intuisco, conoscendo questo dettaglio) ma forse anche per un’affezione particolare. In primo luogo verso la forma breve (anche questa più volte espressa da De Marco) e forse anche per questa deformazione liminare che s’ispira al labirinto e rende omaggio alla letteratura borgesiana, a quella squisita intelligenza che Jorge Luis sapeva imprimere così bene nella forma breve, con assoluta precisione e asciuttezza d’artigiano.

Il libro in questione, Storie che si biforcano, estremizza la posizione del borgesiano Pierre Menard.

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Così filtravano. La meravigliosa storia dello specchio Claude, Instagram prima di Instagram 

Torneremo a viaggiare, prima o poi. Torneremo a contemplare panorami stupendi, torneremo rimirare siti archeologici sbalorditivi. E torneremo a guardare male i “turisti”, quelli che rovinano tutto con i loro comportamenti inopportuni. In particolare, quelli che non si sanno godere l’attimo, non vivono nel presente, ma stanno costantemente con un aggeggio – macchina fotografica o smartphone che sia – in mano. O quelli che osano pensare di migliorare la perfezione della Natura con un filtro Instagram. Torneremo a lamentarci dei tempi moderni, senza sapere che tutto questo è già successo una volta.

La storia dello specchio Claude è una storia di arte e tecnologia, turismo e politica, natura e cultura. Soprattutto, è una storia molto curiosa e poco conosciuta: vale la pena raccontarla.

Tutto inizia con Claude Gellée o Gelée, nella nativa Francia detto anche “le Lorrain”, da noi italianizzato in Claudio Lorenese, e in Inghilterra noto semplicemente come Claude. Era un pittore del XVII secolo (nacque nel 1600 e morì nel 1682, a Roma) attivo fin da giovanissimo in Italia, considerato “il maestro nel genere del paesaggio ideale”. Ritraeva paesaggi in una luce soffusa, crepuscolare, e rovine di epoca romana che si stagliavano nella natura selvaggia. Tutta un’estetica artificiosa e un po’ decadente, che piaceva tanto, all’epoca, e ancora di più nel secolo successivo. Tanto che qualcuno s’inventò questo specchietto portatile, che rendeva la realtà simile a un dipinto di Claude Lorrain: di qui il nome di specchio Claude.

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