I migliori racconti che ho letto online quest’anno

Facile fare le liste dei migliori libri dell’anno. Lo fanno tutti; lo abbiamo fatto anche noi.

Ma qui, a titolo personale, voglio dire altro. Innanzitutto, quando si dice libri, si sottintende romanzi. Io invece sono un po’ fissato con i racconti. Racconti brevi, meglio ancora se fantastici. Quindi la lista è di racconti.

Poi: non usciti quest’anno, ma che io personalmente ho letto quest’anno. Mica si può stare dietro a tutte le novità, no? E soprattutto: mica si può stare dietro SOLO alle novità?

Infine, racconti che si trovano online, con tanto di link. Sia perché è lì che li ho letti; sia perché così se li può leggere pure chi si trova a passare di qua.

E allora, in rigoroso ordine cronologico (di come li ho letti, ovvio, sto twitter mi servirà ancora a qualcosa), eccoci:

Referential, by Lorrie Moore (New Yorker)
Lorrie Moore: se questo nome non ci dice molto, è perché ha scritto quasi solo racconti. Ma micidiali. Questo inizia così: “Per la terza volta in tre anni, si trovarono a discutere di quale regalo sarebbe stato opportuno per il loro figlio squilibrato: erano veramente poche le cose consentite, quasi tutto poteva essere trasformato in un’arma”. Può bastare?

Animali dell’impero, di Tomás Sánchez Bellocchio (Inutile)
Una vera chicca. Questo autore argentino non è (ancora?) tradotto in Italia, tranne che per questo stupendo pezzo su Inutile. Per fortuna sul suo sito ci sono altri racconti brevi, in uno spagnolo comprensibile persino per me. Il fantastico contamina il reale in modo subdolo, perturbante – o viceversa. Abbiamo il nuovo Borges? Non esageriamo, però…

Is God a Taoist?, by Raymond M. Smullyan (The mind’s I)
Quello del libero arbitrio è un falso problema. Un dialogo filosofico serratissimo tra Dio e un mortale. Indovinate chi vince?

Salome Was a Dancer, by Margaret Atwood (SoMA)
Se proprio non avete voglia di leggere un romanzo di Atwood (ne ha scritti tanti), se Il racconto dell’ancella “no dài, tanto ho già visto la serie tv”, sappiate che la scrittrice non è specializzata solo in fantascienza distopica femminista, ma anche in racconti brevi e brevissimi. Due pagine, una pagina, poche righe. Microfiction, come appunto si chiama la raccolta in cui è pubblicato questo racconto in Italia. (Che invece online ho trovato solo in inglese). Una perfetta condensazione dei temi cari alla Atwood, e del suo modo di affrontarli.

INTERRUPCIÓN DEL SERVICIO, by TOMÁS SÁNCHEZ BELLOCCHIO (The short story project)
Ancora Bellocchio, stavolta in spagnolo. Una storia misteriosa fino alla fine, e oltre. Da notare anche il sito: un progetto speciale di narrativa breve, internazionale e multilingue. Da tenere d’occhio.

Una donna, di Ileana Moriconi (Spazinclusi)
Sempre interessante guardare le cose da un altro punto di vista. Quello femminile, in questo caso. Ma non solo quello. Bel pezzo in sé, profondo senza retorica: la chicca finale lo rende super.

Cucciola di foca e squalo della Groenlandia, di Matthew Licht (Stanza251)
Gli animali sono sempre dei gran personaggi (pure se io preferisco ancor di più i batteri). Quelli marini, poi.

Venti fantasmi. Esemplari unici di un’infanzia e di un’adolescenza, di Luciano Funetta (Nuovi argomenti – Le parole e le cose)
Funetta è un giovane maestro del racconto fantastico. Qui riesce a ibridarlo benissimo con una storia di formazione. Cosa significa avere vent’anni? Cosa significa aver vissuto vent’anni? Cosa significa aver vissuto?

Ik-men-ha-kaf, di Rodolfo Wilcock (wilcock.it)
Questa eccentrica figura di argentino dal nome nordico e naturalizzato italiano è in un periodo di riscoperta e sta diventando un piccolo cult. A me, confesso, non mi fa impazzire sempre e comunque. Ma quando la imbrocca, come in questo caso, è insuperabile.

TEMPESTA SOLARE SUL POSTO DI LAVORO, di Gregorio Magini (Minima&moralia)
La fantascienza masticata, e risputata in forma di postmoderno. Riderci su finché riusciamo a sospendere la suspension of disbelief, ma poi alla fine lasciarsi andare ha il suo perché.

Microeconomia, di Andrea Verde (Inutile)
Una storia di paese, una come tante, di quelle che ci sembra di conoscere benissimo. Finché non arriviamo all’ultima riga.

Tutto il tempo del mondo, di Miguel Ángel Torres Vitolas (Inutile)
Di nuovo la rivista Inutile, di nuovo un sudamericano, di nuovo inedito in Italia.

Il Museo dell’Umanità, di Marco Lupo (TerraNullius)
I racconti più belli – come i romanzi, in questo caso non fa tanta differenza, anzi – sono per me quelli che non stanno a spiegare la rava e la fava, il contesto e l’apocalisse avvenuta e tutte le leggi fisiche che regolano quella parte di universo. Ma quelli che bam!, ti fanno piombare in mezzo a una situazione e poi te la devi sbrigare da solo.

Bullet in the Brain, Tobias Wolff (New Yorker)
Lo sappiamo benissimo quello che succede quando ci passa un proiettile attraverso il cervello, no?

I PAZIENTI DEL DOTTOR T., di Francesca Fiorletta (Verde Rivista)
Un racconto bizzarro, su una rivista altrettanto, da un’autrice che uh.

Car-Crash While Hitchhiking, by Denis Johnson (Paris review)
Io sono fissato con gli incipit, ma questo racconto di Denis Johnson ha uno degli explicit più belli della storia (e no, non è un plot twist).

La moglie, di Azzurra De Paola (AltriAnimali)
Un racconto fantastico. O meglio, new-weird. O forse creepy. Cioè, volevo dire, realistico.

Gradinata di gioielli, di Alberto Laiseca (CrapulaClub)
Un altro grande misconosciuto della letteratura sudamericana: forse perché scriveva racconti, forse perché è imprendibile.

La porta nel muro di H.G.Wells (AltriAnimali)
L’inventore del genere (ma quale?). Comunque, a differenza di molti colleghi, Wells invecchia benissimo.

La città dei bambini fantasma, di Ade Zeno (Retabloid – Via dei serpenti)
Thriller metafisico? Servito.

L’inquisitore, di Thomas Ligotti (Il Tascabile)
E sto Ligotti, invece? Un Poe sotto acido.

Blueprints for St. Louis, by Ben Marcus (New Yorker)
“Se sei un architetto, quello che progetti sono tombe, prima o poi”. Una distopia d’amore e guerra, di uno scrittore americano che per il momento qui non si fila nessuno.

Il ferro è una cosa viva, di Matteo Galiazzo, (Cadillac)
Strepitoso. A me se non s’era capito piace molto la fantascienza, quello che non mi piace tanto è il termine fantascienza. Science fiction è più ampio, più ecumenico: fiction, narrativa, con basi scientifiche. La chimica, la fisica, ma anche la linguistica e l’antropologia. C’è tutto, come sempre. Galiazzo è un genio.

IL TENENTE DI VASCELLO, di Alessandro Leogrande (The FLR – Minima&moralia)
Leogrande è morto quest’anno, aveva solo 40 anni. Era un ottimo scrittore d’inchiesta, ma anche con la fiction non se la cavava niente male, mannaggia.

PS: un ringraziamento generale va a tutte le riviste, soprattutto online, soprattutto piccole, che provano a mantenere in vita e diffondere le forme brevi.

 


Black Mirror: la classifica di tutti gli episodi, dal più brutto al più bello

È una sera d’inverno. La casa è immersa nel buio, nel silenzio. I bambini dormono, di là. I genitori sono sul divano, ma ognuno immerso nel suo schermo, nel suo mondo. Lui, che è un po’ vintage, sta leggendo un longform sul turbocapitalismo. Lei, che è sempre avanti, ha appena fatto l’abbonamento a una nuova piattaforma di serie TV in streaming. “Che guardi?”, domanda lui scettico. “Una serie nuova, sono tutti episodi separati, ma uniti dal filo conduttore della tecnologia, di dove può condurre se spinta alle estreme conseguenze”, dice lei togliendosi un auricolare. “Mah, non mi sembra una tecnologia molto recente, quella”, fa lui, indicando lo schermo dove un signore molto distinto, molto elegante, si è appena sbottonato la patta, avvicinandosi a un enorme maiale che gli porge le terga. Già gli sta sulle palle, quella nuova serie e quella nuova piattaforma; eppure, non può distogliere gli occhi dallo schermo.

Da allora non fu più questione, Dio mi perdoni, di longform sul turbocapotalismo. Da allora Black Mirror è diventato la mia ossessione: la nostra ossessione.

Il 29 dicembre 2017 Netflix rilascia, dopo averci tenuto a lungo sulla corda, la quarta serie. Ecco allora un recap globale: la recensione di TUTTI gli episodi usciti finora. In ordine inverso, dal più brutto al più bello. Perché sì, ce ne sono anche di così così. E no, non è vero come dicono i soliti, che all’inizio era tutto fantastico e poi si sono rovinati, commercializzati, americanizzati. Anzi.

Update 18 gennaio 2018

In parte devo ricredermi dopo aver visto la stagione 4: in molti episodi si sente non tanto l’America quanto la pressione. Il dovere di tenere alto il livello, di soddisfare le aspettative, di stupire un pubblico sempre più scafato; e soprattutto, di doverlo fare in fretta. Non che gli episodi siano tirati via, però qualche falla di sceneggiatura ogni tanto appare. In compenso però ci sono anche punte altissime. Comunque: la classifica è aggiornata.

(Continua su Esquire Italia)


Antoine Volodine, Gli animali che amiamo

(66thand2nd, trad. Anna D’Elia)

Dopo l’epopea di Terminus radioso e il meta-saggio Il post-esotismo in dieci lezioni, lezione undicesima, continua la pubblicazione serrata dei libri dell’autore francese da parte di 66thand2nd. Inventore e unico rappresentante di una corrente letteraria, Volodine scrive cose che fanno genere a sé, con pochi termini di paragone. E così è anche per questa sorta di racconti intrecciati (intrarcane, è il termine post-esotico corretto), in cui si aggirano elefanti tristi, si succedono generazioni di sirene regnanti e rivoluzionarie, e granchi-stregoni impazziscono nei sogni. Né bestiario fantastico né realismo magico, su una sola cosa risulta immediatamente comprensibile: gli umani sono quasi estinti, e i pochi che ci sono, sono davvero patetici.

(tratto da “I migliori libri del 2017” secondo Esquire)


7 cose che non volevi sapere sulla schiavitù dei neri in America

E che puoi capire leggendo La ferrovia sotterranea di Colson Whitehead.

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La ferrovia sotterranea è una rete di itinerari segreti e nascondigli, organizzata da americani bianchi e neri liberi, che tra la fine del 700 e la prima metà dell’800 aiutava gli schiavi degli stati del sud a fuggire verso quelli del nord, dove la schiavitù era già stata abolita, o verso il Canada.

La ferrovia sotterranea è uno dei libri dell’anno. Tradotto in Italia per Edizioni SUR da Martina Testa, ha portato Colson Whitehead (L’intuizionista, Zona uno) a vincere sia il National Book Award sia il Premio Pulitzer: un record.

La geniale intuizione di Whitehead è stata quella di trasformare un modo di dire, una metafora, in una vera ferrovia, che scava le viscere degli Stati Uniti alle soglie della guerra civile. Tunnel oscuri, locomotive sferraglianti che sbucano dal nulla, stazioni nascoste nelle cantine, binari in perfetta manutenzione e tratte cieche, macchinisti freak. Quella che già era una bellissima storia di riscatto personale e sociale, diventa così un romanzo fantastico con venature di steampunk. Un modo postmoderno di parlare del più clamoroso genocidio degli ultimi quattromila anni, letterariamente innovativo senza perdere in carica civile.

La ferrovia sotterranea è un’invenzione, ma molte altre cose di cui La ferrovia sotterranea parla, purtroppo sono vere. Eccone alcune, che forse non sapevamo o avevamo voluto dimenticare.

(Continua su Esquire Italia)