Se Indro Montanelli è una questione privata

indro_montanelli Paolo Di Paolo è uno scrittore giovane (1983) ma già affermato. Libro dopo libro, emerge un filo conduttore, sottile ma consistente: l’impossibilità di prescindere dalla realtà, storica e sociale; la necessità di raccontarla da un’angolazione laterale, attraverso le vicende private di persone qualunque. Se in Dove eravate tutti (2011) gli ultimi trent’anni di prima e seconda Repubblica sono intrecciati alle vicende personali di un ragazzo dietro il quale non si fatica a immaginare l’autore, nell’altro romanzo Mandami tanta vita (2013) il protagonista vive nell’ombra del grande intellettuale antifascista Piero Gobetti, che non riesce mai a incontrare anche se le loro storie si sfiorano più volte. L’ultima opera è se possibile ancora più interessante, perché non è un romanzo: Tutte le speranze (Rizzoli, pag. 216, euro 17) porta il sottotitolo esplicativo Montanelli raccontato da chi non c’era. Non è un romanzo, ma neanche una biografia. Piuttosto, la storia di una ricerca che nasce da una fissazione personale: quella di un ragazzo di quattordici anni che voleva fare il giornalista, e incominciò a corrispondere con Indro Montanelli tramite la sua rubrica di posta.

Di Paolo ha uno stile di scrittura senza rotture o pretese d’avanguardia, classico, quando non vagamente retrò; l’impianto del libro è però molto più innovativo di quanto voglia sembrare, delicatamente postmoderno. Innanzitutto, si svolge a ritroso, partendo dal luglio 2001, dalla morte, avvenuta poche ore dopo quella di Carlo Giuliani a Genova; racconta in seguito gli ultimi anni, vissuti dall’autore in prima persona, poi quelli ricostruiti attraverso interviste e testimonianze, infine i primissimi, a inizio ‘900, dove solo vecchie carte d’archivio hanno supportato. Poi, Di Paolo abbatte senza tanto clamore lo steccato tra narrativa e saggistica, come pure il tabù per il quale l’autore del saggio deve scomparire dietro i fatti, e s’inventa una sorta di meta-saggio (frequenti sono le riflessioni introdotte da un “mentre facevo le ricerche per questo libro”). Non mancano inserimenti di foto, immagini curiose come un Garibaldi che sembra Cristo, documenti pubblici o privati, lettere ai giornali (le sue); e c’è anche il momento surreale di un’intervista mai fatta a Berlusconi.

paolo-di-paoloMa quest’angolazione privata, quasi minimale, non è solo una scelta stilistica: è una dichiarazione di metodo. Perché di uno come Montanelli tutti hanno un’opinione, tutti hanno detto tutto e il contrario di tutto: fascista e antifascista, patriota e anti-italiano, anticomunista e antiberlusconiano, liberale e democristiano (“Turatevi il naso…”) , misogino e misantropo, persino filiforme e pingue (“Montanelli? Un falso magro” sentenziò una volta la direttrice di Vogue). Tutte definizioni, nella loro pretesa di essere assolute, false – e tutte, in qualche momento della sua lunga vita, vere. Il racconto in prima persona consente di avvicinarsi a un soggetto così debordante senza commettere quel doppio errore tanto frequente: senza fingere un’obiettività che non esiste, senza giudicare ma cercando di capire. Alla fine è questa, la migliore lezione di Montanelli. E Paolo Di Paolo, anche se poi non ha fatto il giornalista, l’ha imparata benissimo.

(Versione integrale dell’articolo uscito oggi sul Mattino)